Inauguriamo oggi una nuova sezione del sito che ospiterà i lavori dei fratelli. Iniziamo con un lavoro di Maurizio Lanzoni: tra Nietzsche e Hugo, lo scritto propone il dialogo colto, sereno ma a tratti melanconico di un uomo che si rapporta con Ulisse, il viaggiatore per antonomasia, o forse solo con se stesso nella metafora del viaggio della vita. Il parallelo con “Il Settimo Sigillo” di Ingmar Bergman appare facile, ma in questo lavoro il confronto è sereno e l’eterno percorso di “chi sa di dover partire” non spaventa.
ULTIMO DIALOGO DI UN UOMO CON SE STESSO
di Maurizio Lanzoni (R∴L∴ Guido Nozzoli n.1282, Or∴ di Rimini)
Personaggi
Ulisse, l’uomo che viaggia
Maurizio, l’uomo che sa di dover partire
Buondì, Ulisse. L’uomo va. L’uomo torna. E’ sempre in cammino, mai fermo.
Ulisse: Buongiorno a te, Maurizio. Che fai qui?
Maurizio: Caro amico, sto riflettendo sulla mia vita. Dialogo con me stesso. Mi domando e mi rispondo.
Ma le risposte non son quelle giuste.
U. E allora?
M. Continuo a cercare, a domandarmi.
U. Tu sei in compagnia di te stesso, dici. E forse di altri, aggiungo io. E Dio? Non sei in compagnia
di Dio?
M. Quale Dio? Il Dio dei cattolici, il Dio dei protestanti, il Dio degli ebrei o dei musulmani? Tutte
ottime “persone”, ma troppo particolari. Sono appunto il Dio degli uni o degli altri, ma non sono il
Dio dell’uomo. Tutti gli uomini si sono affannati a spiegare che Dio è il loro Dio. Ma il Dio di tutti,
il Dio dell’uomo, è il Dio sconosciuto. E lui è forse qui con me.
U. Tu sei massone, vero?
M. La Massoneria non spiega le cose, ma stimola riflessioni.
Un simbolo che mi ha sempre colpito è l’Oriente Eterno, la Gran Loggia Celeste, dove uno scranno
è già prenotato per me. Là mi attende il Maestro Venerabile, il Grande Architetto. Non so chi o cosa sia, ma mi piace sapere che mi sta aspettando.
U. Quindi aspetti.
M. Aspettare la Nera Signora è un vero e proprio lavoro di preparazione, che ora, in prossimità
della partenza, si fa pressante.
U. Preparazione a cosa?
M. A lasciare questo mondo; a scardinare le gabbie psicologiche e razionali che non mi serviranno
più. Mi svesto per partire nudo, come nudo arrivai.
U. E’ sconsolante.
M. Ho grande fiducia nel mondo dopo il mondo, ma la mia fiducia nulla può per chi resta nel
mondo prima del mondo. Subisce un lutto e deve essere aiutato. La pietas attenua il dolore e aiuta a
trasformarlo in amarezza dell’assenza.
U. Sei uomo di fede, quindi.
M. Non fede in ciò che verrà, ma fiducia che qualcosa verrà.
U. Quindi non: “credo che sarà”, ma: “ho fiducia che sarà”.
M. Fede e fiducia non sono la stessa cosa, ma possono diventarlo. Fiducia significa apertura
sull’uomo, su chi con tanti altri uomini, qui e ora, spera nel futuro.
U. Il senso religioso unisce. Le religioni dividono, perché le religioni sono opera del diavolo.
M. Vedi, in fondo in fondo (ma proprio in fondo, veh!) ho una puntina di curiosità. Dicono che la
morte sia come un dormire, e credo sia vero. Ma è sonno diverso: cessano le funzioni vitali e non
c’è più sveglia.
U. In realtà, che succede?
M. Io non lo so. Io sono davanti ad una porta chiusa. Al di là posso solo immaginare un mondo nel
quale non valgono regole note. Oltre, non so.
U. Sì, una porta…
M. Una porta… chiusa. La vedo. Ma… a volte mi dico che “vedere” non significhi “esistere”. Ho
già visto tante cose che non esistevano…
U. Lo saprai, lo sapremo tutti. Intanto sei qui. Da solo.
M. Soli si nasce. Soli si muore. Sono le uniche azioni della vita che l’uomo compie da solo. Così
attendo in solitudine. Così debbo fare.
U. Potrebbe essere utile la presenza di qualcuno che ti possa consolare.
M. Consolarmi di che? Perché io son vicino alla morte e tanti altri no? Tutti gli uomini hanno nel
loro futuro l’incontro con la Nera Signora: non è una disgrazia o una malattia, ma la vita stessa. E’
tremendo temere la morte perché significa temere la vita e vivere male. Tanto a quell’incontro
presso la porta chiusa tutti dovremo arrivare, prima o poi.
U. La porta chiusa fa paura.
M. Ero appena entrato nella mia Loggia Madre. Un vecchio fratello mi parlò del grande compito
della Massoneria, quello di insegnare a morire.
A quei tempi relegavo la morte in un imprecisato futuro lontano; credevo che la Massoneria
dovesse insegnare a vivere bene, non a morire. Poi, molto tempo dopo, ho compreso…
U. Che c’entra la Massoneria con la morte?
M. Se impari a vivere bene allora inevitabilmente saprai morire.
U. Morire sì, ma anche morire bene?
M. Che vuol dire morire bene o morire male?
Se vivi bene (e questo sappiamo cosa significa) allora riesci a comprendere bene Hiram.
Hiram è una bomba del pensiero: in qualunque modo lo “maneggi” scoppia e ti “investe” di sensi
nascosti.
U. Questa è la forza del simbolo!
M. Hiram, colpito brutalmente, fugge. Colpito di nuovo continua a fuggire, fino al colpo fatale. E’
l’istinto di sopravvivenza a fargli tentare la fuga? Lo spingono timore e paura?
Non è vero che la paura della morte scompare con la credenza in una vita futura. C’è anche la paura
della sofferenza che precede la morte. C’è la paura dell’essere soli, abbandonati. E’ la paura del
buio, del bosco di notte, di rumori, fruscii, ombre minacciose… E’ la paura dell’ignoto, dell’altro.
Ma l’ignoto non puoi fuggirlo come non puoi sfuggire alla morte. La devi affrontare.
U. La paura della morte è in ogni uomo.
M. L’uomo deve superare la paura della morte. Solo così può apprezzare la vita.
U. Come Hiram.
M. Se comprendi Hiram allora giungi a capire che la bara che scavalchi è semplicemente la “tua”
bara e dentro c’è il “tuo” corpo. Scavalcare la bara vuol dire inserirsi nel flusso armonico di vita e
morte, della tua vita e della tua morte.
U. Imparare a morire!
M. E’ il compito dell’uomo. Sembra strano affermarlo, ma imparare a morire significa vivere bene.
Significa imparare la disciplina dell’Eternità, come insegnò quel formidabile massone di Carlo
Gentile. Riflettere sulla morte è riflettere sulla vita.
U. Sulla tua vita e pure sulla tua morte.
M. Si racconta la morte come dissolvimento della goccia d’acqua nel mare. E’ immagine leggiadra
e serena. La goccia si annulla nel mare. Cioè tutte le molecole che la componevano si disperdono
nel mare. Tutte! L’entità goccia non esiste più ma le singole molecole esistono ancora.
U. Così la morte è il dissolvimento del corpo.
M. Einstein ha dimostrato che massa ed energia sono strettamente legate in una legge fisica valida
nel mondo fisico. Quindi vale anche per me. E anche la mia massa diventerà energia. Quell’energia,
la “mia” energia, dove andrà a finire? Non lo so; so solo che sarà la trasformazione del mio corpo,
ma non so andare oltre. Ora comprendo l’antico uomo nel buio con un piccolo lume che riesce solo
a rischiarare un poco attorno a sé.
U. Il corpo si dissolve e cambia.
M. Si, e il dissolvimento è cosa che colpisce, perché non è poetico.
La carne si stacca dalle ossa. E’ tutto putrefatto. Più materiale di così!
Per tanti è intollerabile l’immagine che il proprio corpo diventi un ammasso di materia decomposta,
puzzolente. E’ più accettabile un grande fuoco che in poche ore brucia tutto.
U. Solo il corpo?
M. Il corpo si dissolve.
U. E la “vitalità” che anima il corpo?
M. Si trasformerà anche quella oppure svanirà.
U. E lo “spirito”?
M. Io credo che resterà.
U. Non so. Forse sì. E’ un mistero.
M. E’ un mistero. Ma forse il mistero è capire che ogni cosa si inserisce in una cosa più grande
ancora.
U. L’uomo… la vita… la morte…
M. Nel mondo di oggi non c’è posto per la morte. I modelli stereotipati che ci vengono proposti
sono di giovani e belli e magri, tutti felici di consumare qualcosa. Non c’è posto per i vecchi, tranne
i pochi casi (sterilizzati!) di vecchi “saggi” che vendono le “buone cose di una volta” (sempre
vendere, eh!). Sono modelli lontani dalla vita e lontani dalla morte. Non sono modelli umani, ma
artificiali. Ecco perché l’uomo ha un rapporto così difficile con la morte.
Sentiamo la morte come cosa estranea che non ci appartiene. La vogliamo cancellare e nascondere,
sempre.
In un bosco cogliamo l’aspetto idillico: i fiori, i frutti, gli uccellini. Non cogliamo le foglie morte a
terra che stanno marcendo; apprezziamo i funghi, non il loro grande compito di trasformare le
sostanze organiche non più viventi. Cogliamo gli uccellini cinguettanti ma non i rapaci che di loro
si cibano. Accettiamo il rapace che acciuffa un topo, ma non lo stesso rapace che ghermisce uno
scoiattolino.
Ci scandalizziamo per il cacciatore che spara ma accettiamo il petto di pollo negli scaffali del
supermercato, cioè un pezzo di un animale nato in gabbia, vissuto in gabbia e ucciso in una catena
di montaggio.
U. L’uomo rifiuta la morte, non la accetta, la nasconde.
M. L’uomo occidentale ha paura della morte. La nasconde più che può. Ma la Nera Signora
compare sempre. All’improvviso arriva e ti porta con sé. Punto.
U. All’improvviso?
M. No, no! E’ un arrivo improvviso solo per chi non ha saputo cogliere i segni premonitori, perché
con la morte non ha dimestichezza. Totò ha insegnato che la morte è la grande livellatrice e azzera le differenze sociali. Ma lo
spianamento di questi tempi non è uguaglianza, bensì l’orizzontale sterile del sentire comune che
appiattisce tutte le idee al livello dell’acqua stagnante.
U. Vizio e virtù non possono essere posti allo stesso gradino morale; l’un peccato e l’altro peccato
non hanno pari valore.
M. Il grande peccato dell’uomo di oggi è mettere zenit e nadir alla stessa altezza.
U. E questo non è possibile.
M. La morte livella riportando ad uno stato uguale per tutti. Ma livella anche in un altro senso: la
morte è equilibrio. Non tra il numero dei vivi e dei morti, ma equilibrio tra la vita e la morte. Molti
muoiono troppo tardi, ed alcuni troppo presto… Muori al momento giusto: così insegna
Zarathustra. 1
U. Né troppo presto, né troppo tardi; forse qui sta l’ultima saggezza dell’uomo.
M. L’uomo di oggi punta tutto sulla vita, ma solo quella fisica. Vivendo di pensieri liquidi in una
società liquefatta, non ha punti fermi e non sa più comprendere l’interezza della vita. La vita è vita
solo se c’è la morte.
U. Accettiamo la morte.
M. La vita è strettamente collegata alla morte, non solo la mia morte (che verrà) ma anche la morte
degli altri esseri viventi. Dove c’è vita c’è morte. Anzi la morte è condizione della vita.
Ad ogni pasto dovremmo ringraziare quegli esseri viventi privati della loro vita per essere cibo a noi
e permettere la nostra vita, non la loro che per il nostro pasto termina.
U. Dunque, rispetto per la vita.
M. Certo. Rispetto per la vita. Non puoi evitare di cibarti di esseri viventi, animali o vegetali, perché
è nella natura dell’uomo. Cerca allora di rispettare la vita della quale ti appropri, e cerca di non
abusarne e sprecarla. Rispetto e moderazione!
U. Rispetto per la vita. Rispetto per la morte.
M. Imparare a morire vuol dire rendersi conto della necessità di morire, di chiudere con il proprio corpo,
dire Basta! ai problemi fisici che con l’età diventano sempre più esigenti.
U. Parli come in procinto di accomiatarti dal mondo.
M. L’attesa della morte vicina porta a uno stato particolare. E’ una vera e propria stasi di attività
umane. Quando l’uomo, in base ad un proprio orologio psico-biologico, avverte la vicinanza
dell’ultimo passo, la sua vita si trasforma, viene per così dire “semplificata” all’essenziale: o rifiuta
l’imminente inevitabile o si prepara al commiato.
Se rifiuta costruisce il proprio inferno. Se accetta entra in quel “tempuscolo” tutto particolare, né
luce né buio, né giorno né notte, non più di questo mondo anche se ancora in questo mondo.
E’ il confine, che riesce ad incrinare la forte corazza dell’uomo e a far salire alla superficie
l’interno. Il grande viaggio è iniziato. E’ uno di quei momenti toccanti, in cui la terra è così bene
intonata agli uomini che sembra impossibile che tutti non siano felici. 2
U. Felicità? Un congiunto, un amico se ne sta andando e gli altri dovrebbero essere felici?
M. Felici per lui che sta per partire. Quando capirà l’uomo che vita e morte sono la stessa cosa,
come l’alto e il basso, come la montagna verso la cima e la montagna verso la base? Andar dalla
base alla cima della montagna e viceversa è cosa naturale. Accettiamo il saggio insegnamento: La
cosa avvenne da sé nel modo più semplice come si fa notte quando il sole tramonta 3 .
U. I sensi illudono.
M. Solo andando oltre i sensi, puoi comprendere l’esistenza di un altro mondo oltre il mondo nel
quale vivi. Il mondo oltre il mondo…
U. Son cose difficili da mandar giù.
M. Solo se vivi sotto gli impulsi del delirio di onnipotenza che prende l’uomo. Tutti son d’accordo
nel parlare di armonia del mondo, a patto che non tocchi le farneticazioni del nostro senso di
onnipotenza.
U. Ancora più difficile quindi pensare all’armonia!…
M. Il mondo è pervaso da un grande senso di armonia. Certo, puoi non sentirla, ma allora
semplicemente ne resti escluso. Non cogli nulla: subisci e non vivi.
U. La morte ha sempre richiamato il nero e il buio, non l’armonia.
M. Io credo che il lavoro di trasformazione si possa compiere meglio al buio, richiamando il basso,
l’infero.
U. Il nero è il colore nel sottosuolo, il buio è assenza di luce.
M. Il buio non è assenza di luce. Ma è luce diversa, quella adatta a compiere certe cose.
U. C’è un tempo per ogni cosa e c’è una luce per ogni cosa.
M. La morte è grande trasformazione. E c’è il modo giusto per fare ogni cosa. Io sono convinto
della opportunità di operare in questa vita senza pensare alle eventuali altre. Io sono concentrato in
questa vita, non su cosa succederà “dopo”. E cerco di portare il minimo di zavorra possibile
all’incontro con la Nera Signora.
U. Bella immagine quella della Nera Signora.
M. Mi domanderà la Nera Signora, oppure sarò io a domandarmi sotto le di lei sembianze: Hai
seguito qualcuno?
U. Che vuol dire?
M. Nel momento in cui seguite qualcuno, cessate di seguire la verità 4 . Segui qualcuno, non te
stesso. Perdi la libertà del cammino.
Oggi paiono pochi gli uomini che cercano la libertà, ma per me è fondamentale. Posso ben dire: io
sono un uomo libero e di buoni costumi.
Alla Nera Signora dirò che sì, qualche volta anch’io ho seguito qualcuno. Ma – aggiungerò – solo
per poco: non appena mi accorgevo che “seguivo” e non ero un “compagno di strada” mi facevo
subito da parte.
U. Come!?! E la Massoneria? Non dirmi che non hai mai seguito non dico un massone, ma almeno
la Massoneria tutta!
M. La Massoneria non è una guida, non può esserlo per natura. Propone, semplicemente, un metodo
di lavoro che crea un uomo libero in una comunità di uomini liberi dove nessuno vuole guidare altri.
L’uomo libero, il caminante, non cerca guide ma, eventualmente, compagni che possano camminare
un poco con lui. E se non trova nessuno, cammina da solo.
No, la Massoneria non può guidare. Io sono massone ma nessun massone mi ha mai guidato. Se ho
avuto consigli da qualche massone (e ne ho avuti!), li ho seguiti solo se e quando ne sono stato
profondamente convinto.
Sono un massone “con la valigia in mano”, pronto ad andarmene se il cammino mi porta altrove e
pronto ad andarmene se qualche massone o qualche Loggia avesse la pretesa di guidarmi.
U. Ma insomma cosa è la morte?
M. E’ un viaggio. Tu, Ulisse, lo sai bene. E sai dei primi tre grandi viaggi dei nostri antenati: il
viaggio di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre, il viaggio di Caino scacciato lontano e
segnato dal Signore, il viaggio di Noè dal vecchio al nuovo mondo.
U. Sì, io c’ero perché c’era l’uomo.
Adamo ed Eva, ci portarono dal non mondo al mondo.
Caino, il grande enigma, insegnò all’uomo la trasformazione e vagò nei primordi del mondo
Noè ci traghettò dal vecchio al nuovo mondo.
M. Il vecchio mondo… Il mio vecchio mondo, il mondo della mia giovinezza, non esiste più. Era
molto diverso da quello di oggi.
U. Sei pessimista.
M. Ciò che era importante, oggi pare non valere nulla o molto poco. Ciò che allora interessava, oggi
pare non interessare. E’ bene o male?
Non so rispondere, ma se penso ai miei “miti di fondazione” oggi mi sento estraneo.
U. Straniero in patria?
M. Amico Ulisse, oggi faccio fatica a distinguere tra chi danza e chi salta, tra chi canta e chi urla,
tra chi cammina e chi si trascina.
U. Non essere evanescente.
M. La nostra mente è limitata e il nostro corpo lo è ancora di più. Oggi non ho più le idee chiare. Si
avvicina la partenza.
U. Mi sembri tragico.
M. No, è questione di interpretazione del mondo.
U. Un mondo nuovo.
M. Un uomo nuovo, un mondo diverso. Rifletto spesso sull’insegnamento di Zarathustra: Vedi,
disse la vita, io sono il continuo, necessario, superamento di me stesso… 5
U. Dopo la tua morte che resterà qui?
M. Per il credente la fede, per il laico il ricordo: All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di
pianto… Ma non per tutti il ricordo: tranne poche eccezioni, svanisce ben presto nel giro di qualche
generazione. Del mio nonno paterno, morto quattro anni prima della mia nascita, non ho che alcune
fotografie, qualche vecchio documento e il ricordo di ciò che mi hanno raccontato la nonna e il
babbo. Di suo padre, il mio bisnonno, una foto di cent’anni fa e il passaporto. Del padre di lui, il
mio trisnonno, nulla, neanche il nome. Eppure un sedicesimo dei miei geni sono suoi. Il religioso
dice che nonno, bisnonno, trisnonno sono individualità ancora esistenti “là” con il Padre Creatore,
dove potrò “incontrarli”. Ma sono immagini umane… rassicuranti…
U. Molti credono che la morte sia un ricongiungersi con gli antenati.
M. In una società un po’ più tradizionale della nostra diventerei anch’io uno degli dei Lari della
famiglia, un antenato cui si devono certi culti.
U. Culto degli antenati?
M. Direi affinità con gli antenati, con coloro, miei avi, che son già passati sulla strada sulla quale
sto camminando e che mi hanno lasciato una piccola ma significativa eredità, quella che oggi mi
permette di camminare.
U. Il cammino verso la morte?
M. No, verso la vita.
U. Ma, insomma, cosa aspetti?
M. Qualcosa che arriverà.
U. Cosa?
M. Lascio il vecchio mondo. Sì, tanti lo pensano come l’unico mondo possibile. Non credo sia così.
U. Lasci il tuo mondo, quindi.
M. Sì. Lascio il vecchio mondo per cercarne uno nuovo…
U. Come Cristoforo Colombo.
M. Quando la Nera Signora arriverà, mi dirà: In grazia dell’ora e dell’età è tempo ormai di aprire i
nostri architettonici lavori… E aprirà la porta. Mi dirà che il tempo è giunto, il tempo giusto e perfetto.
U. Allora partirai?
M. Sono pronto. Può essere subito, fra un po’ o poco più in là. Il momento ormai non è lontano e
non sarà una tragedia.
Ho fiducia che non si termini con la cessazione della vitalità del corpo fisico, col quale mi son
sempre identificato e che la maturità dei miei giorni mi fa ora vedere come un abito ormai usurato e
del quale dovrò liberarmi.
U. Una tappa del viaggio, non il viaggio.
M. Non mi piace pensare il mio corpo rinchiuso in una cassa sigillata, separato dal flusso della vita.
Mi piace invece pensarlo abbandonato alla bellezza e alla selvatichezza della natura, là dove c’è
vita.
Erano saggi quei nativi americani che abbandonavano i corpi dei defunti in pasto agli uccelli o gli
indiani che li affidavano al Gange!… Un semplice corpo in cui non c’è più nulla: la natura pretende
di riciclare il “materiale”.
Mi piace immaginare il sole dell’alba illuminare il luogo dove saranno state sparse le mie ceneri e il
sole del tramonto salutare prima del buio.
U. Anche se in quel posto non ci sarai?
M. Anche se in quel posto non ci sarò.
Il giorno in cui le mie ceneri saranno sparse sia un giorno di giubilo e di riflessione. Pensatemi non
più vecchio e acciaccato ma in una nuova ristampa, rivista e corretta dall’autore e… da altri! E sarà
di prammatica, cari amici, una piccola ma sincera libagione agli “dei Lari”. L’ultima per me in
questa dimensione.
Bibliografia
1 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra,Adelphi Edizioni, Milano, 1976, p. 80.
2 Simone De Beauvoir, Una donna spezzata, Ed. Repubblica, Roma, p. 8.
3 Victor Hugo, I Miserabili, Tipografia Editoriale Lucchi, Milano, 1960, p. 503.
4 Dal discorso di Jiddu Krishnamurti di scioglimento dell’Ordine della Stella Orientale il 3 agosto 1929. In Stuart
Holroyd, L’Antiguru, Ubaldini Editore, Roma, 1981, p. 30.
5 Nietzsche, op cit, p. 131.