Poeta e critico letterario, nato nel 1835 a Valdicastello, in provincia di Lucca, morto a Bologna nel 1907. Trascorse i suoi primi anni di vita in varie località della Toscana al seguito del padre che era medico condotto. Oggi, all’Oriente di Bologna, è al sommo poeta massone a essere titolata una delle più antiche officine d’Italia.
Fu maestro, guida e amico fraterno del Fratello Giovanni Pascoli, cui è titolata una Loggia in Bologna.
Documentario Rai5, Le Lettere, Giosuè Carducci
Rai Teche: 180 anni dalla nascita di Carducci (1975)
San Martino, Giosué Carducci, recitata
Per la cittadinanza onoraria di Bologna, 1896
Per la letteratura, il ritorno al classicismo, in alternativa al sentimentalismo romantico in voga in quel periodo, il suo esordio poetico avvenne proprio a San Miniato con la pubblicazione del suo primo lavoro, Le Rime.
Dopo aver perduto nel giro di pochi mesi sia il padre che fratello, ed essersi sposato con la cugina Elvira Menicucci, vince la cattedra di letteratura italiana al liceo classico i Pistoia. Nel 1860 il primo ministro della Pubblica Istruozione del nuovo Regno d’Italia, Terenzio Mamiani, gli assegnò la cattedra di eloquenza all’Università di Bologna. Carducci aveva appena compiuto venticinque anni.
Nel 1862 entrò in Massoneria nella Loggia Severa di Bologna. Nel 1865 diverrà membro della Loggia Felsinea sempre di Bologna. Nell’ istituzione massonica fu sempre attivo, come testimonia il nutrito carteggio con il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Lemmi’, pubblicato nel 1991 a cura di Cristina Pipino.
Pergamena di Fratello Onorario della Loggia massonica D. Alighieri di Ravenna, 1896
Dal 1863 al 1865 pubblicò Le Stanze, l’Orfeo e l’Inno a Satana, opera che più di ogni altra fu espressione del tipico anticlericalismo risorgimentale del Carducci, che contrappone gli ideali illuministici lo sviluppo scientifico e gli aneliti liberali alle condanne liberticide del Sillabo di Pio IX. Fu per questo tacciato di ateismo e duramente combattuto dalla cultura cattolica. In proposito Carducci precisò più volte che combatteva non il cristianesimo ma la Chiesa, come autorità oscurantista avversa al progresso ed alla libertà e tenacemente legata al dispotismo ed all’oppressione.
Non mancò di polemizzare aspramente con la classe politica contemporanea, da lui tacciata di mediocrità, per non aver saputo completare l’unità d’Italia e non aver impedito l’isolamento in cui era stato costretto Giuseppe Garibaldi, il vero eroe del Risorgimento. Significative al riguardo sono le opere Sicilia e rivoluzione, Dopo Aspromonte e Per il quinto anniversario della battaglia di Mentana, ma soprattutto la raccolta Levia Gravia, Giambi ed Epodi. Le idee espresse in queste opere gli procurarono la sospensione temporanea dall’attività e dallo stipendio.
Nel 1870 fu messo a dura prova da due accadimenti dolorosi: la perdita della madre, seguita da quella del figlioletto Dante. Il suo straziante dolore è espresso mirabilmente nella sublime poesia Pianto Antico. Negli anni successivi pubblicò a Firenze Juvenilia e Nuove Poesie. È poi la volta delle Odi barbare. Scrisse saggi in onore del Parini e del Prati, mentre non simpatizzò mai con Manzoni. Dopo la nomina ad Accademico della Crusca (1888), è la volta del Premio Nobel per la Letteratura, consegnatoli a Bologna, per le sue precarie condizioni di salute, dall’ambasciatore di Svezia nel 1906.
L’anno successivo, nella notte tra il 15 ed il 16 febbraio 1907, si spense a Bologna per un attacco di broncopolmonite. In Massoneria il 21 febbraio 1888 era stato elevato al 33° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato.
Fonte del testo: goirsaa.it
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