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Se in una notte d’inverno del XIV secolo, Taddeo Pepoli avesse trovato l’impulso di raggiungere il palazzo che aveva appena costruito, cioè l’odierno civico 6 della centralissima via Castiglione in Bologna giungendo dall’antistante magione che porta oggi orgogliosa l’insegna di “Campogrande Pepoli”, egli non avrebbe certamente avuto occasione di attraversare la strada. A Taddeo, conosciuto nella Bologna medievale come l’Antipapale, sarebbero state concesse in effetti solo due possibilità: la prima, percorrere un tunnel che conduceva probabilmente ai servizi dell’attuale Casa Massonica (Fonte deduttiva: Fratello S ∴D ∴ P ∴ , Risorgimento – VIII Agosto, ingegnere e addetto ai lavori di ristrutturazione) e la seconda, ovvero quella di condurre, non certo agevolmente, un natante. Già, un natante. In via Castiglione, infatti, passava a quel tempo un ramo del canale Savena, , in buona parte ancora scoperto all’inizio del 1700, di sede nella porzione tra via Orfeo e Piazza di Porta Ravegnana (Fonte: Archivio di Stato di Bologna).
Pepoli, per superare quei pochi metri che lo distanziavano dal suo “secondo” palazzo, avrebbe dovuto necessariamente dotarsi di un’imbarcazione oppure attraversare il tunnel costruito a misura. Tunnel presunto, naturalmente, poiché non vi è prova catastale della sua esistenza. Doveroso è chiarire un particolare: le ultime vestigia di quel piccolo fiume d’acqua permangono ancora in quelle che appaiono come attracchi per le barche; tali oggetti sono ancora visibili lungo tutte le mura del palazzo e sono orpelli che facilmente potrebbero essere scambiati quali borchie per mantenere fermi gli equini, una volta dismessa la cavalcatura, se non fosse per l’inusitata altezza della loro posizione.
I primi indizi di un utilizzo latomistico della struttura si hanno solo molti anni più tardi, nel periodo immediatamente successivo a quello Napoleonico bolognese (dall’iniziale apparizione di Bonaparte del 1796 alla consacrazione a Imperatore e Re d’Italia dal 21 al 25 giungo 1805 fino alla caduta del 1815). A quel tempo le logge massoniche bolognesi di cui si ha memoria, e che si riunivano in luoghi diversi, erano quattro. Di tre si conoscono i nomi: “Etruria Riunita” ed “Enotria”. La terza era “Amici dell’onore” e di essa si conserva il piè di lista.
È estremamente probabile che Carlo Pepoli, a parte della nota famiglia bolognese e senatore del Regno d’Italia nonché parente di Napoleone e massone facente parte della Loggia “Concordia Umanitaria” (poi Loggia Galvani), fu colui che, tra il 1860 e il 1864, rese l’attuale Casa Massonica una loggia restaurativa militare francese. In seguito, di questa si occupò un parente prossimo – anch’esso conte – dal nome Gioacchino Napoleone Pepoli, a capo della rivolta contro-austriaca di Bologna. La probabilità che la Casa Massonica di Bologna fosse in quel periodo una loggia militare francese è dunque considerevole. Il fratello P:.S:., membro della Goliardia nella balla “Congiura de’ Pazzi” che fino al 1969 aveva sede proprio in via Castiglione 6/A, ricorda bene che: “Le colonne di quello che sembrava un tempio avevano i colori della bandiera francese”. La statua della sfinge che apre l’ingresso a quello che ora è il tempio grande potrebbe corroborare tale ipotesi.
Al centro della sala dei passi perduti è posto un basso rilievo di un grifone difeso da un pavimento a scacchi. Che esso sia simbolo occulto della massoneria non è provato. È certo invece che esso rappresenti lo stemma araldico dei Pepoli, per mestiere cambisti, le cui caselle svolgono qui una funzione raffigurativa e prettamente simbolica delle monete del tempo.
Nella Casa Massonica fa buona vista, lungo la scala che conduce dall’ingresso alla sala dei passi perduti – ed è prova dell’uso massonico del tempio – un corrimano in ebano: esso si presenta come una struttura arricchita da quelle che potrebbero sembrare croci patente della cultura templare, oppure abbozzi del “Doppio grosso o pepolese”, la moneta della Casata. A frontespizio del corrimano è però presente l’indiscutibile rappresentazione dell’acacia che, se nella cultura ebraica forniva il sacro legno Shittim, in quella massonica ha un significato noto a tutti i figli della vedova.
Il liocorno presente sempre nella sala dei passi perduti è stato probabilmente introdotto nel periodo goliardico.
Una piccola formella di terracotta ferrarese è ben nascosta nel lato orientale dell’ingresso: essa figura Giacomo il Maggiore, con conchiglia e bastone, simbolo di pellegrinaggio e di viaggio.
Dalla Casa Massonica di Vicolo Bianchetti, la massoneria bolognese si è spostata in via De’ Gombruti, poi in Castiglione per ragioni di spazio. Già “ufficio” della balla goliardica “Congiura de’Pazzi” negli anni Sessanta, come detto, con atto di atto di vendita del 30 maggio 1969, la proprietà Matteucci alienò l’immobile per una cifra di 8.000.000 di lire all’ing. Francesco Spina, in qualità di Presidente dell’Associazione Centro Studi Storici e Sociali costituita a Bologna in data 21 aprile 1968.
Il giorno prima, in data 29 maggio 1968, una riunione del centro studi alla presenza degli allora membri Ing. Francesco Spina, presidente; Avv. Achille Melchionda, segretario, e i consiglieri dott. Mario Manzi, dott. Eolo Morelli, Guglielmo Liverani Giulio Nuzzi, revisore, e dott. Maurizio Rosa, il Consiglio aveva dato parere favorevole all’acquisto. I fratelli del tempo si trovarono quindi davanti, giunti a quella che ora è la Sala dei Passi Perduti, a un grande spazio che includeva ciò che oggi è il tempio piccolo e che ospitava, a quel tempo, solo il grande tavolo e gli armadi riuniti in un unica sala. Ad occuparsi dei lavori per la costruzione del tempio azzurro fu, tra gli altri, il fratello Vaccari su iniziativa dell’allora Presidente dell’Oriente e oggi Presidente di Collegio Mario Martelli.
Immagini e ricerca storica a cura del Fr∴ M∴M∴C∴
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