AccaddeOggi 27marzo 1938, scompare misteriosamente Ettore Majorana, genio indiscusso della fisica che non aveva nulla da invidiare a Galileo o Newton secondo l’autorevole pensiero di Enrico Fermi. Ad Erice, Sicilia, una Loggia del @GOI_Sicilia porta il suo nome.
Da Wikipedia:
Ettore Majorana (Catania, 5 agosto 1906 – Mazara del Vallo, 27 marzo[1] 1938 (morte presunta), o in località ignota dopo il 1959[2]) è stato un fisico italiano.
Operò principalmente come teorico della fisica all’interno del gruppo di fisici noto come i “ragazzi di via Panisperna“: le sue opere più importanti hanno riguardato la fisica nucleare e la meccanica quantistica relativistica, con particolari applicazioni nella teoria dei neutrini. La sua improvvisa e misteriosa scomparsa, avvenuta nella primavera del 1938, suscitò numerose speculazioni riguardo al possibile suicidio o allontanamento volontario, e le sue reali motivazioni, a causa anche della sua personalità e fama di geniale fisico teorico.
Biografia
«Sono nato a Catania il 5 agosto 1906. Ho seguito gli studi classici conseguendo la licenza liceale nel 1923; ho poi atteso regolarmente agli studi di ingegneria a Roma fino alla soglia dell’ultimo anno. Nel 1928, desiderando occuparmi di scienza pura, ho chiesto e ottenuto il passaggio alla facoltà di fisica e nel 1929 mi sono laureato in fisica teorica sotto la direzione di S.E. Enrico Fermi svolgendo la tesi: “La teoria quantistica dei nuclei radioattivi” e ottenendo i pieni voti e la lode. Negli anni successivi ho frequentato liberamente l’Istituto di Fisica di Roma seguendo il movimento scientifico e attendendo a ricerche teoriche di varia indole. Ininterrottamente mi sono giovato della guida sapiente e animatrice di S.E. il prof. Enrico Fermi.[3]» |
Ettore Majorana, penultimo di cinque fratelli, nacque a Catania, in via Etnea 251, il 5 agosto del 1906[4] da Fabio Massimo Majorana (1875–1934) e da Dorina Corso (1876–1965). Egli apparteneva ad un’antica e prestigiosa famiglia originaria di Militello in Val di Catania, vivace centro feudale del Val di Noto, dove per secoli si distinse nella partecipazione alla vita politica ed economica del territorio.
Il nonno di Ettore, Salvatore Majorana Calatabiano (1825-1897), era stato deputato dalla nona alla tredicesima legislatura nelle file della sinistra storica, due volte ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio nel primo e terzo governo Depretis (1876-1879) e senatore del Regno d’Italia nel 1879.
Il padre Fabio, ultimo di cinque fratelli, si era laureato a ventidue anni in Ingegneria e quindi in Scienze fisiche e matematiche. Gli altri quattro erano Giuseppe, giurista, accademico e deputato al parlamento nazionale, nato nel 1863; Angelo, statista, nato nel 1865; Quirino, fisico, nato nel 1871; Dante, giurista e accademico nato nel 1874.
Gli altri fratelli di Ettore erano: Rosina; Salvatore, dottore in legge e studioso di filosofia; Luciano, ingegnere civile, specializzato in elettrotecnica che si dedicò anche a progettazioni aeronautiche e alla costruzione di strumenti per l’astronomia ottica; Maria. Le sorelle Rosina e Maria erano state educate alla cultura artistica e Maria era diplomata in pianoforte al Conservatorio Santa Cecilia. Un figlio di Luciano, omonimo di Ettore e nato dopo la sua scomparsa, è fisico sperimentale presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dell’Università di Roma[5] “La Sapienza”; mentre il figlio di Rosina, Wolfgang Fabio Schultze, già docente di Chirurgia d’urgenza e Pronto Soccorso presso La Sapienza, ha sempre coltivato un vivace interesse nel campo delle scienze naturali e umanistiche.
Majorana fu un bambino prodigio, rivelando una precoce attitudine verso la matematica e già all’età di cinque anni era in grado di svolgere mentalmente calcoli complicati e sotto la guida del padre si dedicò autonomamente allo studio della fisica, disciplina che sin da piccolo lo affascinava. Ettore terminò le elementari e successivamente il ginnasio, completato in quattro anni, presso il collegio “Massimiliano Massimo” dei Gesuiti a Roma. Majorana possedeva un’ottima cultura umanistica (apprezzava molto il conterraneo Luigi Pirandello) nonché un fine senso dell’ironia, ed era estremamente acuto nelle sue rare ma preziose osservazioni.[3]
Quando anche la famiglia si trasferì a Roma nel 1921, continuò a frequentare l’istituto Massimo come esterno per il primo e secondo anno del liceo classico. Frequentò il terzo anno presso il liceo Torquato Tasso, e nella sessione estiva del 1923 conseguì la maturità classica. Terminati gli studi liceali Ettore si iscrisse alla facoltà d’Ingegneria. Fra i suoi compagni di corso vi erano il fratello Luciano, Gastone Piqué, Emilio Segrè, Enrico Volterra.
Il passaggio a fisica
Emilio Segrè, giunto al quarto anno di studi d’ingegneria, decise di passare a fisica: a questa scelta, che meditava da tempo, non erano stati estranei gli incontri (estate del 1927) con Franco Rasetti ed Enrico Fermi, allora ventiseienne, da poco nominato professore ordinario di fisica teorica all’Università di Roma, cattedra creata in quel periodo da Orso Mario Corbino; si noti che, della commissione che assegnò la cattedra a Fermi, era membro Quirino Majorana.
Segrè riuscì a convincere anche Majorana a passare a fisica, passaggio avvenuto dopo un incontro con Fermi. Ecco il resoconto di Amaldi su quell’incontro:
«[…] Nell’autunno 1927 e all’inizio dell’inverno 1927-28 Emilio Segrè, nel nuovo ambiente che si era formato da pochi mesi attorno a Fermi, parlava frequentemente delle eccezionali qualità di Ettore Majorana e, contemporaneamente, tentava di convincere Ettore Majorana a seguire il suo esempio, facendogli notare come gli studi di fisica fossero assai più consoni di quelli di ingegneria alle sue aspirazioni scientifiche e alle sue capacità speculative. Egli venne all’Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un’andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme, l’aspetto di un saraceno. Fermi lavorava allora al modello statistico dell’atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, Majorana si presentò di nuovo all’istituto e chiese di vedere la tabella. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un foglietto su cui era scritta una analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattr’ore, trasformando, l’equazione del secondo ordine non lineare di Thomas-Fermi in una equazione di Riccati che poi aveva integrato numericamente. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene e, uscito dallo studio, se ne andò dall’Istituto.» |
«Majorana era quindi tornato non per verificare se la tabella da lui calcolata nelle ultime 24 ore fosse corretta, bensì per verificare se fosse esatta quella di Fermi[6]» |
(Leonardo Sciascia) |
Majorana passò a fisica e cominciò a frequentare l’Istituto di Via Panisperna regolarmente fino alla laurea, meno di due anni dopo. Si laureò, con il voto di 110/110 e lode, il 6 luglio 1929, relatore Enrico Fermi, presentando una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi. All’istituto Ettore trascorreva molto tempo in biblioteca, preferendo il lavoro solitario allo spirito di gruppo che rese celebri i giovani scienziati che attorniavano Fermi. Fu l’unico a non lavorare in collaborazione diretta con Fermi, anche in qualità di teorico, pur essendo il solo in grado di interagirvi alla pari.[7]
Un altro aneddoto ricorda il commento sarcastico alla scoperta del neutrone che valse successivamente il premio Nobel per la fisica a James Chadwick:
«Che cretini! Hanno scoperto il protone neutro e non se ne accorgono![8]» |
In quel periodo effettuò diversi studi, alcuni dei quali confluirono in diversi articoli su argomenti di spettroscopia e su un articolo sulla descrizione di particelle con spin arbitrario. Effettuò anche brevi studi su moltissimi argomenti che spaziavano dalla fisica terrestre all’ingegneria elettrica, alla termodinamica, allo studio di alcune reazioni nucleari non molto diverse da quelle che sono alla base della bomba atomica. È stato possibile ricostruire in parte il percorso di questi studi in base a una serie di manoscritti, i Quaderni e i Volumetti, custoditi dalla Domus Galilaeana di Pisa e pubblicati nel 2006.[9]
Per il carattere distaccato, critico e scontroso, allo stesso tempo autocritico e modesto gli fu affibbiato il soprannome di “Grande inquisitore” quando anche tutti gli altri giovani fisici dell’Istituto di via Panisperna avevano un soprannome mediato in gran parte dalla gerarchia ecclesiastica (Fermi era il “Papa”, Rasetti, che spesso sostituiva Fermi in alcune mansioni importanti, il “Cardinale Vicario”, Corbino il “Padreterno”, Segrè “Basilisco” (per il suo carattere mordace), mentre Amaldi, dalle delicate fattezze quasi femminee, era chiamato “Gote rosse”, o “Adone”, un titolo di cui non era affatto entusiasta).
Il soggiorno tedesco
Si lasciò comunque convincere ad andare all’estero (Lipsia e Copenaghen), come anche Enrico Fermi aveva fatto più volte negli anni venti, e gli fu assegnata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche una sovvenzione per tale viaggio che ebbe inizio alla fine di gennaio del 1933 e durò circa sei mesi. L’incontro con Werner Heisenberg fu proficuo, tanto che questi riuscì (lì dove Fermi e gli altri avevano fallito) a far pubblicare a Majorana Über die Kerntheorie (Sulla teoria nucleare), in Zeitschrift für Physik (Giornale di fisica).
Abbiamo alcune sue lettere del periodo tedesco. Il 20 gennaio, in una lettera alla madre scrive:
«All’Istituto di Fisica mi hanno accolto molto cordialmente. Ho avuto una lunga conversazione con Heisenberg che è persona straordinariamente cortese e simpatica» |
In una lettera al padre, il 18 febbraio, scrive:
«ho scritto un articolo sulla struttura dei nuclei che a Heisenberg è piaciuto benché contenesse alcune correzioni a una sua teoria» |
Nel viaggio fatto all’estero fu colpito dall’organizzazione tedesca. Ed ecco come illustra nella medesima lettera alla madre la rivoluzione nazista:
«Lipsia, che era in maggioranza socialdemocratica, ha accettato la rivoluzione senza sforzo. Cortei nazionalisti percorrono frequentemente le vie centrali e periferiche, in silenzio, ma con aspetto sufficientemente marziale. Rare le uniformi brune mentre campeggia ovunque la croce uncinata. La persecuzione ebraica riempie di allegrezza la maggioranza ariana. Il numero di coloro che troveranno posto nell’amministrazione pubblica e in molte private, in seguito all’espulsione degli ebrei, è rilevantissimo; e questo spiega la popolarità della lotta antisemita. A Berlino oltre il cinquanta per cento dei procuratori erano israeliti. Di essi un terzo sono stati eliminati; gli altri rimangono perché erano in carica nel 1914 e hanno fatto la guerra. Negli ambienti universitari l’epurazione sarà completa entro il mese di ottobre. Il nazionalismo tedesco consiste in gran parte nell’orgoglio di razza. In realtà non solo gli ebrei, ma anche i comunisti e in genere gli avversari del regime vengono in gran parte eliminati dalla vita sociale. Nel complesso l’opera del governo risponde a una necessità storica: far posto alla nuova generazione che rischia di essere soffocata dalla stasi economica» |
Non è dato sapere se i suoi più intimi collaboratori conoscessero le sue impressioni e le sue idee sulla Germania nazista: è certo comunque che a Fermi (la cui moglie era ebrea) tali idee e concezioni non dovessero fare grande piacere e certo pure è (vedi in proposito il libro di Recami su Majorana)[10] che Segrè (ebreo anch’egli) rimase stizzito da un’analoga sua lettera del 22 maggio 1933, nella quale Majorana scrive:
«[…] non è concepibile che un popolo di sessantacinque milioni [la Germania di quel tempo] si lasciasse guidare da una minoranza di Seicentomila [gli ebrei] che dichiarava apertamente di voler costituire un popolo a sé…» |
Ma in un’altra lettera spedita a Giovanni Gentile jr. parla di stupida teoria della razza; e nell’ultimo suo articolo pubblicato Majorana esprime, sia pure in modo indiretto, un’opinione positiva del libero arbitrio, opinione che pare incompatibile con il nazismo.[11] Successivamente Majorana si recò a Copenaghen, dove conobbe Niels Bohr, la cui frequentazione lo portò a conoscere altri fisici importanti dell’epoca, tra i quali Christian Møller e Arthur H. Rosenfeld, e a frequentare George Placzek, che già da qualche tempo conosceva.[11]
Nel 1934, qualche mese dopo il rientro dal soggiorno tedesco, muore a Roma il padre Fabio Majorana, cui Ettore pare fosse legatissimo.[12] Nello stesso anno il gruppo di Via Panisperna scopre in laboratorio le proprietà dei neutroni lenti, scoperta che dette l’avvio alla realizzazione del primo reattore nucleare sperimentale e della successiva bomba atomica nei Laboratory Nazionali di Los Alamos (USA), nell’ambito del Progetto Manhattan, in piena seconda guerra mondiale.
Per circa tre anni, dal 1934 al 1937, Majorana si chiude in casa a lavorare per ore senza uscire mai, frequentando sempre più saltuariamente l’Istituto di Fisica di via Panisperna e studiando in maniera quasi furiosa tanto che i medici arriveranno a diagnosticargli un esaurimento nervoso.[12] Sovente se ne stava a casa, non riceveva alcuno e respingeva la corrispondenza scrivendoci di proprio pugno con forte autoironia si respinge per morte del destinatario. Curava anche poco l’aspetto fisico e si era lasciato crescere barba e capelli. Ma quello che è certo è che non cessava di studiare: i suoi studi si erano ampliati. Questo è il periodo più oscuro della sua vita: non si sa quale fosse la materia dei suoi studi, anche se qualcosa si può dedurre dalle sue lettere, in particolare da una fitta corrispondenza con lo zio Quirino, noto fisico sperimentale, che stava studiando la fotoconducibilità di lamine metalliche.[13]
Ecco il ritratto che ne dà, in quel periodo, Laura Fermi:
«Majorana aveva però un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea.» |
E ancora:
«Majorana aveva continuato a frequentare l’Istituto di Roma e a lavorarvi saltuariamente, nel suo modo peculiare, finché nel 1933 era andato per qualche mese in Germania. Al ritorno non riprese il suo posto nella vita dell’Istituto; anzi, non volle più farsi vedere nemmeno dai vecchi compagni. Sul turbamento del suo carattere dovette [forse] influire un fatto tragico che aveva colpito la famiglia Majorana. [Nel 1924] un bimbo in fasce, cugino di Ettore, era morto bruciato nella culla, che aveva preso fuoco inspiegabilmente. Si parlò di delitto. Fu accusato uno zio del piccino e di Ettore. Quest’ultimo si assunse la responsabilità di provare l’innocenza dello zio. Con grande risolutezza si occupò personalmente del processo [noto nelle cronache dell’epoca come Processo Majorana e terminato nel 1932][14], trattò con gli avvocati, curò i particolari. Lo zio fu assolto; ma lo sforzo, la preoccupazione continua, le emozioni del processo non potevano non lasciare effetti duraturi in una persona sensibile quale era Ettore.» |
In questo periodo dirà della fisica la frase estremamente sibillina e ambigua, poi variamente interpretata:
«La fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata[15][16][17]» |
Nel 1937 Ettore Majorana accettò, dopo aver rifiutato Cambridge, Yale e Carnegie Foundation, la cattedra di professore di fisica teorica all’Università di Napoli per meriti scientifici (pare che tale nomina lo ferì nell’orgoglio, perché aspirava ad una cattedra a Roma)[3], dove si legò d’amicizia con Antonio Carrelli, professore di fisica sperimentale presso lo stesso Istituto di Fisica.
Anche a Napoli Majorana condusse una vita estremamente ritirata, con i suoi malanni che gli davano fastidio e che si ripercuotevano inevitabilmente sul suo carattere e sul suo umore.[13] Il 12 gennaio 1938 Majorana accetta ufficialmente la cattedra di fisica teorica presso l’Università di Napoli, e già il giorno dopo tiene la lezione inaugurale, alla presenza della famiglia.[16]
La misteriosa scomparsa
La sera del 25 marzo 1938, a 31 anni, in un periodo in cui tutto il gruppo di fisici di Via Panisperna si stava disperdendo ognuno con i propri incarichi in Italia o all’estero e circa un anno e mezzo prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Ettore Majorana partì da Napoli, ove risiedeva all’albergo “Bologna” in via Depretis 72, con un piroscafo della Tirrenia alla volta di Palermo, ove si fermò un paio di giorni alloggiando al “Grand Hotel Sole”: il viaggio gli era stato consigliato dai suoi più stretti amici, che lo avevano invitato a prendersi un periodo di riposo.
Il giorno stesso a Napoli, prima di partire, aveva scritto a Carrelli la seguente missiva:
«Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.» |
Ai familiari aveva invece scritto:
«Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.» |
Il 26 marzo Carrelli ricevette da Majorana un telegramma in cui gli diceva di non preoccuparsi di quanto scritto nella lettera che gli aveva precedentemente inviato.
«Non allarmarti. Segue lettera. Majorana.» |
Lo stesso giorno fu scritta e spedita anche questa ultima lettera, dopo il viaggio di andata:
- Palermo, 26 marzo 1938 – XVI
«Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.» |
Ma Majorana non comparve più.
Iniziarono le ricerche. Delle indagini si occupò il capo della polizia Arturo Bocchini, sollecitato da una lettera urgente di Giovanni Gentile. Del caso si interessò lo stesso Mussolini che ricevette una “supplica” della madre di Majorana e una lettera di Enrico Fermi; sulla copertina del fascicolo in questione scrisse: voglio che si trovi. E Bocchini, evidentemente, per alcuni indizi poco incline all’ipotesi del suicidio, aggiunse di sua mano: i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire.[18] Fu anche proposta una ricompensa (30 000 lire) per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno non in modo inequivocabile.
Il professor Vittorio Strazzeri dell’Università di Palermo asserì di averlo visto a bordo alle prime luci dell’alba del 27 marzo mentre il piroscafo sul quale era imbarcato si accingeva ad attraccare a Napoli (in realtà egli condivise la cuccetta con un giovane viaggiatore che, secondo la descrizione, corrispondeva a Majorana, da lui mai conosciuto personalmente). Un marinaio asserì di averlo scorto, dopo aver doppiato Capri, non molto prima che il piroscafo attraccasse, e la società Tirrenia, anche se l’episodio non fu mai confermato, asserì che il biglietto di Majorana era tra quelli testimonianti lo sbarco. Anche un’infermiera che lo conosceva sostenne di averlo visto, in questo caso nei primi giorni dell’aprile 1938, mentre camminava per strada a Napoli. Ma non fu mai trovata nessuna traccia documentata della sua destinazione e le ricerche in mare non diedero alcun esito.
Le indagini furono condotte per circa tre mesi e si estesero a una Residenza dei Gesuiti che si trovava vicino a dove lui abitava, dove pare si fosse rivolto per chiedere una qualche sorta di aiuto, forse come reminiscenza del suo periodo scolastico presso i Gesuiti di Roma. La famiglia seguì anche una pista che sembrava portare al Convento di S. Pasquale di Portici, ma alle domande rivoltegli il padre guardiano rispose: “Perché volete sapere dov’è? L’importante è che egli sia felice”.[13]
Ci fu una ridda di ipotesi e indizi, ma non si ebbero mai certezze sulla sorte di Majorana: nelle sue lettere egli non parla mai di suicidio, ma solo di scomparsa ed era persona attenta alle parole.[13] In realtà non si sa se Majorana fosse davvero ripartito da Palermo per Napoli nel viaggio di ritorno come da lui annunciato, se si sia gettato in mare o se abbia voluto far perdere le proprie tracce, cedendo il biglietto ad un altro in attesa di imbarco, depistando tutti con dichiarazioni ambigue, contraddittorie e spiazzanti. L’unica certezza è che già a gennaio del 1938 Majorana aveva chiesto di prelevare dalla banca i suoi soldi, e qualche giorno prima del 25 marzo aveva ritirato 5 stipendi arretrati, che fino a quel momento non si era preoccupato di riscuotere. Il suo passaporto non fu mai trovato.
Il giorno prima di salpare da Napoli verso Palermo nel viaggio di andata (dunque non al ritorno da Palermo) aveva consegnato alla sua allieva Gilda Senatore una cartella di materiale scientifico: questi documenti furono mostrati dopo vari anni a suo marito, anch’egli fisico, che ne parlò con Carrelli che lo riferì al rettore che volle visionarli: dopo di che le carte si persero.[senza fonte]
Le ipotesi sulla scomparsa
Le ipotesi che sono state fatte sulla scomparsa volontaria di Ettore Majorana[19] seguono soprattutto cinque filoni: quello del suicidio, quello monastico, quello tedesco, quello sudamericano e quello siciliano.
Ipotesi del suicidio
L’ipotesi del suicidio, adombrato, ma non esplicitamente annunciato da Majorana nelle sue ultime lettere, è estremamente dolorosa e per l’epoca anche infamante. Le repentine variazioni di intenti (anche la partenza e l’improvviso ritorno a Napoli dopo solo due giorni) potrebbero essere state sintomi di una personalità molto turbata e la frase il mare mi ha rifiutato un poetico eufemismo, in un atteggiamento tipico di chi è tormentato da un pensiero autodistruttivo che non ha il coraggio di attuare oppure volutamente ambigua negli intenti nell’ipotesi di depistaggio. Vi sono infatti alcuni elementi contraddittori, così riassumibili:
- è alquanto inverosimile che un suicida prelevi in banca una somma equivalente all’ammontare di alcune mensilità di stipendio poco prima di suicidarsi;
- secondo talune testimonianze Majorana sarebbe stato avvistato e riconosciuto a Napoli giorni dopo la scomparsa.
Ancora nel 2011 continuano le indagini a livello giudiziario sulle ipotesi della scomparsa del fisico.[20] Già tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 appaiono alcune possibili notizie sul caso sul bollettino della Società italiana di fisica. In un articolo su Il Nuovo Saggiatore (“Il promemoria ‘Tunisi’: un nuovo tassello del caso Majorana”, vol 27, 5-6, 2011, pp. 58–68[21]), Stefano Roncoroni riporta tra l’altro alcuni brani del diario del nonno paterno Oliviero Savini Nicci: questi, Consigliere di Stato[22], ebbe un ruolo importante nei primi giorni della scomparsa di Ettore. Poi una lettera al direttore datata 29 febbraio 2012 firmata da Francesco Guerra e Nadia Robotti, intitolata “La borsa di studio della rivista ‘Missioni’: un punto fermo sulla vicenda di Ettore Majorana”.[23] In essa gli autori riferiscono tra l’altro di una lettera datata 22 settembre 1939 indirizzata da un gesuita, tale Padre Caselli, a Salvatore Majorana, il fratello maggiore di Ettore, che comunica di accettare la donazione della famiglia Majorana per istituire una borsa di studio da intitolare all’estinto Ettore. Padre Caselli ringraziando per la cospicua donazione ricevuta appena il giorno prima, scrive:
«[…] Ammiriamo sinceramente il V/. atto generoso per il compianto Ettore Majorana. Il Signore premi la V/. grande fede e il Vostro santo affetto per il caro estinto. […]» |
Secondo gli autori se ne deduce un “punto fermo” nella vicenda: se un gesuita usa il termine “estinto” vuol dire che non ci sono dubbi sulla possibilità che Ettore Majorana sia deceduto entro il settembre del 1939. E ciò toglierebbe di mezzo anche l’ipotesi del suicidio perché non si dedica una borsa di studio religiosa a un suicida. Tale interpretazione ha già ricevuto però qualche critica, osservandosi che potrebbe essersi ingenerato un equivoco tra i termini “scomparso” ed “estinto”[24], o comunque dato definitivamente per morto nel succedersi degli eventi e delle loro più nefaste interpretazioni.
È tuttavia da rilevare che la famiglia di Ettore Majorana, costituita dalla madre e i fratelli, dopo anni di attesa, si sia sempre espressa più o meno apertamente in favore dell’ipotesi più drammatica, ovvero quella del suicidio, cercando di mantenere il più rispettoso riserbo.[16]
Ipotesi monastica
Secondo una seconda ipotesi, sposata soprattutto da Leonardo Sciascia nel suo saggio La scomparsa di Majorana, il caso Majorana si sarebbe trattato di una sorta di “dramma personale”, di un “genio immaturo e irrequieto” o comunque diverso, alieno dalla normalità ovvero di un uomo, provato da malanni fisici persistenti (colite ulcerosa o gastrite) e stanco dopo aver indagato a fondo molteplici campi dello scibile umano, compresa la fisica e la filosofia (“la parte e il tutto”), abbia deciso di cambiare o rifarsi una vita normale lontano dai riflettori, rinunciando anche all’insegnamento, per via del suo carattere solitario, schivo e poco socievole al limite della misantropia, fors’anche conscio e turbato dai possibili esiti della fisica moderna, delle responsabilità etiche dello scienziato e dell’imminente conflitto mondiale, depistando le indagini a suo favore, facendosi credere morto e cercando l’oblio con una sorta di istrionico “colpo di teatro” pirandelliano, parzialmente casuale e parzialmente voluto, come accaduto nel personaggio de Il fu Mattia Pascal.
Infatti secondo i conoscenti universitari più stretti, Majorana stanco, sovraccarico di responsabilità e con il peso della sua stessa fama, sarebbe caduto in uno stato di profonda depressione subito dopo l’assegnazione della cattedra a Napoli, da cui la rinuncia all’insegnamento e forse la decisione di scomparire cambiando vita. Sulla questione è tornato nel 1999 lo storico della matematica Umberto Bartocci, con uno studio che discute, oltre a quelle menzionate, l’ipotesi che Majorana possa essere stato vittima di un piano maturato nell’ambiente dei fisici da lui frequentato, teso a eliminare un pericoloso rivale di parte avversa in vista dell’imminente conflitto mondiale.[25][26] Le argomentazioni di Bartocci, di tipo logico, psicologico e indiziario, sono state accolte da grande scetticismo (per non dire ripugnanza) nell’ambiente dei fisici, ma hanno anche attirato l’attenzione di diversi studiosi (storici e no).[27][28][29][30]
L’ipotesi monastica si riallaccia alla gioventù di Ettore con la sua educazione, dal momento che aveva frequentato l’Istituto Massimiliano Massimo dei gesuiti a Roma, e alla sua condizione di credente. Un possibile legame dunque con il passato che si fa vivo ovvero una parte della sua giovinezza. Su questa pista si erano inoltre indirizzate le ricerche della stessa famiglia, la quale scrisse a Papa Pio XII Pacelli, promettendo di non voler affatto interferire sulle scelte eventualmente maturate da Ettore, al solo scopo di sapere dal Vaticano semplicemente se egli fosse vivo: ma nessuna risposta, di nessun segno, venne mai fornita. Questa ipotesi viene ripresa nel libro di Alfredo Ravelli Il dito di Dio[31], dove Rolando Pelizza racconta di aver conosciuto il “maestro” in un convento e di aver collaborato con lui nella realizzazione di alcuni esperimenti.
Egli, secondo Sciascia, infine si sarebbe rinchiuso nella Certosa di Serra San Bruno in Calabria, per sfuggire a tutto e a tutti, dal momento che non sopportava la vita sociale. Molti hanno sostenuto come veritiera questa ipotesi, ma essa fu sempre negata dai monaci dell’ordine certosino, anche se fu, in seguito, papa Giovanni Paolo II in persona ad avvalorarla quando, il 5 ottobre 1984, andò in visita alla Certosa e in un discorso menzionò la passata presenza di personaggi illustri ospitati tra le sue mura, tra cui il fisico scomparso.[32]
Secondo Stefano Roncoroni (figlio di una cugina di Ettore Majorana, sin da giovane appassionato studioso del caso), Ettore Majorana fu infatti ritrovato da suo fratello maggiore, Salvatore, nel marzo del 1938 in un vallone del catanzarese, ma avendo deciso di sparire nessuno riuscì a convincerlo a tornare sui suoi passi, e sarebbe poi morto nel 1939. I Majorana, prendendone atto, avrebbero deciso di non collaborare alle indagini e di non rivelare dove si trovasse il fisico e tacere sulla sua fine.[33] Tra le motivazioni addotte dallo stesso Roncoroni c’è una malattia organica grave e molto più diffusa a quel tempo (forse tubercolosi) che un vicino convento era in grado di curare, una profonda crisi mistica o personale/esistenziale favorita forse dalla sindrome di Asperger oppure la presunta omosessualità di Majorana, a quel tempo molto meno tollerata di ora, e i conseguenti dissidi familiari.[34]
Secondo il prof. Elio Tartaglione, assistente per molti anni di Antonio Carrelli: «Un giorno, dopo la lezione, Carrelli mi condusse nel convento di San Gregorio Armeno, e mi rivelò, indicandomi una finestra, che in una di quelle celle Majorana praticava gli esercizi spirituali», dichiarazioni riportate su Repubblica il 7 luglio 2006. Il prof. Bruno Preziosi, collega di Tartaglione, che ne raccolse le confidenze, aggiunse che nell’occasione l’assistente chiese al Carrelli “Ma allora è ancora vivo?” ottenendo la risposta “Ritorniamo all’istituto che abbiamo da fare”. Di seguito, riferisce sempre il prof. Bruno Preziosi, Tartaglione descrisse in una lettera gli accadimenti al Rettore dell’università di Napoli Fulvio Tessitore, il quale interrogò l’allora Arcivescovo Giordano, suo amico personale, ricevendone però la risposta “la domanda è irricevibile”.[35][36]
Dalle carte del pontificato di Pio XII custodite nell’Archivio apostolico vaticano, aperte agli studiosi il 2 marzo 2020, risulta che la Santa Sede smise di cercare il fisico scomparso già nel 1940, dandolo ormai per morto.[37]
Ipotesi tedesca
L’ipotesi tedesca[38] suppone che egli sia tornato (o forse anche rapito[39]) in Germania per mettere le sue conoscenze e le sue intuizioni a disposizione del Terzo Reich, e che dopo la seconda guerra mondiale sia emigrato in Argentina come molti altri esponenti del regime nazista, come testimonierebbe, secondo i fautori di questa ipotesi, una foto del dopoguerra in cui compare un volto con le fattezze simili a quelle di Majorana.[40][41][42] Per qualcuno invece questa “bizzarra” ipotesi sarebbe solo una “bufala“.[43] In tale ambito non manca nemmeno l’ipotesi dell’assassinio da parte di qualche servizio segreto per motivi politici.[43][44]
Una nuova ipotesi: il ritorno a Roma[modifica | modifica wikitesto]
Un testimone, rimasto però anonimo, ha riferito di aver incontrato all’inizio degli anni ottanta a Roma[45] un clochard che diceva di avere la soluzione dell’Ultimo teorema di Fermat, enigma che ha impegnato, fin dal XVII secolo, i più grandi matematici, e che all’epoca risultava ancora irrisolto. Il testimone riferisce che: “Majorana stava in piazza della Pilotta, sugli scalini dell’Università Gregoriana, a due passi da Fontana di Trevi. Aveva un’età apparente di oltre 70 anni. A quel punto gli dissi di farsi trovare la sera seguente perché volevo farlo incontrare con Di Liegro“. L’incontro con monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas romana, avvenne la sera successiva. Fu lo stesso Di Liegro a rivelare al testimone la reale identità del clochard. Il racconto del testimone anonimo prosegue con Di Liegro che provvede a riportare il Majorana in un convento dove lui era ospite e da dove si era allontanato.
Sempre il testimone ha raccontato di aver parlato con il sacerdote della necessità di mettersi in contatto con la famiglia di Majorana, ma egli non ne volle mai sapere, chiedendo anzi al testimone di tacere per almeno 15 anni dopo la sua morte, avvenuta il 12 ottobre 1997.[46] L’intera faccenda potrebbe però anche essere inquadrabile come caso di equivoco o mitomania da parte di un senza tetto.
Ipotesi siciliana
Esiste anche una quinta ipotesi, emersa intorno agli anni settanta, che dava Majorana in Sicilia: sarebbe stato infatti lui il fisico eccellente che errava per la Sicilia come un senzatetto. In realtà esistono effettivamente degli elementi a sostegno di questa ipotesi: un certo Tommaso Lipari girava infatti per le strade di Mazara del Vallo, dove trovò la morte il 9 luglio 1973; si trattava di un barbone particolare, dotato di una brillante conoscenza delle materie scientifiche, che lo portava a risolvere i compiti degli scolari che incontrava. Un abitante del paese, Armando Romeo, disse che il Lipari gli aveva mostrato una cicatrice sulla mano destra, cicatrice che possedeva anche il Majorana; inoltre usava un bastone con incisa la data del 5 agosto 1906, ovvero la data di nascita del fisico. Infine, al funerale di Lipari parteciparono tante persone, troppe per quello che è di solito l’estremo saluto a un barbone, e suonò la banda del paese.[47][48]
Sul caso Lipari intervenne anche l’allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino: nel 1948 un certo Tommaso Lipari era stato rilasciato dalla galera (dov’era finito per un piccolo reato), ed era così possibile confrontare la sua firma con quella del barbone. Borsellino riscontrò tra loro una tale somiglianza che si sentì di concludere che appartenessero alla stessa persona, escludendo quindi un'”ipotesi Majorana”.[49] Secondo altri invece è estremamente improbabile che una persona della razionalità, della cultura e dello spessore di Majorana, nonché della sua estrazione sociale familiare, possa aver scelto deliberatamente di vivere da indigente; d’altro canto non è affatto infrequente trovare persone colte cadute in disgrazia per vicissitudini varie della vita e finite a fare il clochard.
Ipotesi argentina
L’ipotesi argentina si fonda su tracce, reperite da Erasmo Recami[50], di una sua presenza a Buenos Aires, specie intorno agli anni sessanta, forse emulo di molti altri emigranti italiani del primo e secondo dopoguerra: la madre di Tullio Magliotti riferì di aver sentito parlare di lui dal figlio; la moglie di Carlos Rivera raccontò di un presumibile avvistamento del Majorana all’Hotel Continental; un ex ispettore di polizia riconobbe in un’immagine di Majorana l’italiano che incontrò a Buenos Aires in quegli anni.
Chi l’ha visto? e le indagini della magistratura romana: Majorana ritrovato in Venezuela?[modifica | modifica wikitesto]
Nel 2008 si è parlato della vicenda anche in occasione di una puntata della nota trasmissione televisiva Chi l’ha visto?. In particolare venne intervistato Francesco Fasani[51], un italiano emigrato in Venezuela a metà degli anni cinquanta, il quale espresse il convincimento di aver frequentato a lungo Majorana, anche se questi non gli avrebbe mai rivelato la propria identità.[52] Secondo questa ricostruzione Ettore Majorana si faceva chiamare signor Bini. La prova principale sarebbe una foto del 1955 di Fasani con il presunto Majorana, conosciuto come Bini.[53] Dalle analisi effettuate dai carabinieri del RIS di Roma era risultata compatibile, in almeno dieci punti, con i tratti somatici del fisico catanese e, inoltre, l’uomo ritratto avrebbe avuto una forte somiglianza con il padre di Majorana, Fabio Massimo.[54] Come ulteriore prova Fasani ha inoltre fornito una cartolina che Quirino Majorana, zio di Ettore (fratello del padre e anch’egli fisico di fama mondiale), spedì nel 1920 all’americano W.G. Conklin, e ritrovata dallo stesso Fasani nella vettura del presunto Bini-Majorana, una Studebaker gialla.[55]
Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani della Procura della Repubblica di Roma, affidò ai carabinieri verifiche ulteriori in Argentina e Venezuela, ipotizzando che lo scienziato catanese poteva essere ancora in vita nel periodo 1955-1959. Il 3 febbraio 2015 la Procura della Repubblica di Roma, in seguito all’apertura di un fascicolo nel 2011 sulla scomparsa del fisico, ha richiesto l’archiviazione dell’indagine, stabilendo che Ettore Majorana si fosse «trasferito volontariamente all’estero permanendo in Venezuela almeno nel periodo tra il ’55 e il ’59», che la foto scattata in Venezuela nel 1955 abbia «portato alla perfetta sovrapponibilità dei singoli particolari anatomici tra cui naso, mento e orecchie» e che la testimonianza del Fasani costituisca «una ulteriore prova dell’identità tra Bini e Ettore Majorana, a sostegno e completamento del materiale d’indagine esaminato».[56]
La seconda vita di Majorana
Nel 2016 esce, edito da Chiarelettere nella collana Reverse, il volume La seconda vita di Majorana, scritto da Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini; un saggio biografico che indaga sulla presunta vita clandestina del fisico in Sud America, tra Argentina e Venezuela.[57] Gli autori ripartendo dalle rivelazioni della trasmissione Chi l’ha visto? cercano di ricostruire la possibile vita clandestina del famoso fisico italiano. Nel libro viene ipotizzato che Majorana fosse giunto in Venezuela dall’Argentina e che nel periodo venezuelano risiedesse nella città di Guacara nel borgo di San Agustín. Dal libro è stato tratto anche un documentario omonimo andato in onda sul canale Rai Storia per il ciclo Italiani l’11 ottobre 2016 e introdotto da Paolo Mieli.[58]
Reazioni
Subito dopo aver appreso della sua scomparsa Enrico Fermi, che lo aveva paragonato per capacità a Galilei o Newton, dirà di lui:
«Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito. Majorana aveva quello che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso[59]» |
Edoardo Amaldi scrisse nel suo Ricordo:
«Aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini» |
Da ultimo, sull’intera vicenda si sono espressi più volte i discendenti della famiglia con un’opinione fortemente critica (giudicando ad es. incompatibili le foto di Bini in Venezuela con quelle di Majorana), stanchi delle continue e inutili speculazioni sul caso, ritenute semplici bufale giornalistiche, invitando anche a lasciar stare definitivamente una vicenda, divenuta ormai nei decenni oscura e insolubile e verosimilmente anche dai connotati strettamente personali.[44]
Per i suoi tratti di personalità simil schizoidi e allo stesso tempo eccentrici è stato definito da alcuni come il Kafka o il Rimbaud della fisica[3][60], mentre alcuni storici della fisica lo collocano a metà tra Einstein e Newton.[55]
I contributi di Majorana alla fisica
Gli studi scientifici di Majorana (in tutto 10 articoli pubblicati[61][62]) diedero un contributo fondamentale allo sviluppo della fisica moderna e affrontano in modo originale molte questioni, ponendo, secondo la comunità di fisici internazionale, notevoli spunti di riflessione su future scoperte del secondo dopoguerra[63]: nella sua prima fase pubblicò i suoi studi riguardanti problemi di spettroscopia atomica, la teoria del legame chimico (dove dimostrò la sua conoscenza approfondita del meccanismo di scambio degli elettroni di valenza), il calcolo della probabilità di ribaltamento dello spin (spin-flip) degli atomi di un raggio di vapore polarizzato quando questo si muove in un campo magnetico rapidamente variabile; inoltre si dedicò intensamente alla meccanica quantistica, all’interno della quale lavorò su numerose formule scientifiche dando anche una teoria relativistica sulle particelle ipotetiche.
Il maggior contributo scientifico di Ettore Majorana è tuttavia rappresentato dalla seconda fase della sua produzione che comprende tre lavori: la ricerca sulle forze nucleari oggi dette alla Majorana (per primo avanzò infatti l’ipotesi secondo la quale protoni e neutroni, unici componenti del nucleo atomico, interagiscono mutuamente grazie a forze di scambio, ma la teoria è tuttavia nota con il nome del fisico tedesco Werner Heisenberg (teoria di Heisenberg) che giunse autonomamente agli stessi risultati, dandoli alle stampe prima di Majorana[64], la ricerca sulle particelle di momento intrinseco arbitrario e la ricerca sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone. Famosa è anche l’equazione di Majorana a lui intitolata, ma non sua. È ricordato dalla comunità scientifica internazionale per avere dedotto l’equazione a infinite componenti che formano la base teorica dei Sistemi quantistici aperti (computazione quantistica).[65] È, infine, insolito ricordarlo per avere introdotto la probabilità che da una determinata coppia nasca un figlio maschio.[66]
Il 12 aprile 2012 la rivista Science ha pubblicato uno studio che indica la firma dei fermioni da lui teorizzati nel 1938, i quali hanno la caratteristica di coincidere con la controparte di antimateria.[67] L’interpretazione di tale firma come fermioni di Majorana si rivela non corretta, in quanto un successivo e diverso studio, sempre pubblicato sulla rivista Science il 02/10/2014[68] rivela che si tratta di quasiparticella con spin intero e non di fermione di Majorana.
Questo al momento conferma la correttezza del mare di Dirac e gli stati a energia negativa formati da lacuna ed elettrone, cosa a cui Majorana era contrario senza una reale ragione fisica, dove andò a scomporre l’equazione di Dirac in due parti per produrre la sua Teoria dei fermioni di Majorana.
Notevole e innovativo fu il suo approccio introduttivo algebrico al calcolo delle matrici (meccanica ondulatoria) e che tutt’oggi s’utilizza, dove Majorana contestava a Dirac non solo le energie negative, ma anche il formalismo usato, infine la comparsa d’infiniti con il mare di Dirac, quando a sua volta lui stesso andò introdusse un nuovo formalismo e andò a lavorare su infiniti con la decoerenza quantistica.
Di fatto se non si eliminano i continui gli infiniti non sono eliminabili.
Il fondamentale errore epistemologico nell’approccio al fenomeno era duplice e figlio del loro tempo, dato che non s’erano ancora capite le conseguenze del Teorema di Gödel sulla logica[69] e neppure s’era certi che esisteva energia negativa e una buca di potenziale dove essa potesse stare[70], a differenza d’oggi, in quanto si sa che è la maggiore componente dell’universo, che risiede nel campo quantistico covariante spaziale, cosa già intravista da R. Feynman con la QED tramite la rinormalizzazione degli infiniti nel calcolo delle ampiezze di probabilità, con infiniti imposti dal consiederare il campo spaziale un continuo e non un campo quantizzato e come tale discreto per cui finito, dove troncando il calcolo pro rinormalizzazione a una grandezza ben al di sotto della lunghezza di Planck, ovvero a 10−100�, le ampiezze di probabilità erano al 100%, ma dalle equazioni emergevano anche quantità infintesimali d’energia negativa, dove esse non hanno alcun limite di temperatura massima per quanto siano finite e infinitesiamli, da cui può provenire calore=energia senza fine per l’assenza di un limite massimo di temperatura, per cui oggi il mare di Dirac non deve essere necessariamente visto come infinito, ma con energia negativa come si può osservare e misurare (la teoria è in accordo con le osservazioni), la quale può fornire energia senza fine per particelle virtuali del vuoto quantistico non avendo alcun limite di temperatura superiore.
Dopo la dimostrazione di Godel era diventato chiaro che esistono vincoli costitutivi ineludibili all’interno della logica di classe autoreferenziale, il che impedirà per sempre di trovare una teoria del tutto, per cui ogni teoria fisica non potrà mai essere completamente esatta, contenendo sempre incompletezze e/o metafisica, oppure nell’immaginario caso in cui s’arrivi per puro caso a una teoria del tutto, non si potrà mai esserne certi che sia tale dimostrando che essa è vera ed è la teoria del tutto, contestare colleghi fisici su questi vincoli costitutivi non porta a nuova fisica.
Infatti neppure la critica epistemologica di Majorana era corretta in tal senso, in quanto lui irrideva al formalismo matematico per la ricerca fisica teorica, confindando sul dover adeguare la dimostrazione matematica all’empirica osservazione sperimentale e non viceversa come stavano facendo tutti da Einstein in poi, ovvero Majorana era sulla stessa pista del fallimento godeliano, dove Kurt Gödel arriva a contraddirsi con l’illusoria speranza che la fenomenologia potesse essere la via d’uscita dai limiti del suo Teorema, dimostrandosi un autoinganno di Gödel a se stesso e anche Majorana cadde nello stesso errore facendo un ragionamento analogo sul problema cercando una soluzione fenomenologica, quando i limiti costitutivi ritrovati da Gödel nella logica di seconda classe e nascosti nel cuore della logica, sono sia ineludibili, che ineliminabili e sono sempre stati tali e resteranno tali, oggi la cosa è chiara, al tempo di Majorana no, per cui non esiste alcun modo di eluderli.
A oggi non sono stati trovati sperimentalmente i fermioni di Majorana contrariamente ai fermioni di Dirac[71] e l’esperimento Cuore condotto da INFN presso il loro laboratorio al Gran Sasso di Italia, il più sensibile mai realizzato finora, non avendoli trovati dopo i 3 anni di presa di dati programmati fin dalla progettazione dell’esperimento, si rinnova nella ricerca con un aumento della sua sensibilità d’un ordine di 100 (quindi di due grandezze) per una nuova presa di dati[72] andando anche alla ricerca della grandezza della massa del neutrino, dove i limiti superiori imposti dalle teorie (modello standard e cosmologico) sono inferiore a 1 elettronvolt per il modello standard e i dati cosmologici lo indicano a 0,3 elettronvolt o inferiore a tale valore, dove un elettrone è pari a mezzo milione di elettronvolt.
Tutto questo rende altamente improbabile che esistano i fermioni di Majorana.